venerdì 26 aprile 2013

Il finanziamento pubblico ai partiti: oltre le ideologie dominanti (prima parte)

Beppe Grillo
Un tema che ormai da anni fa parte del dibattito italiano è quello del finanziamento pubblico ai partiti politici. Il Movimento 5 Stelle di Grillo ha costruito il proprio successo su questo tema e molti cittadini sono convinti che la fine della contribuzione pubblica porterebbe beneficio alla democrazia e risolverebbe la crisi economica italiana. In sostanza si attribuisce a questo la causa dell’involuzione della democrazia e la soluzione alla crisi.


Storia del finanziamento ai partiti

Il finanziamento pubblico ai partiti rappresenta una percentuale esigua del bilancio pubblico, e quand’anche fosse azzerato (o addirittura tutti gli eletti vivessero senza stipendio) non porterebbe che un beneficio marginale alla situazione economica italiana. Questo infatti è nato molti decenni fa, quando ancora c’erano i grandi partiti di massa che esprimevano quel personale politico di qualità che tutti ricordano (a partire da quelli troppo giovani per aver vissuto quell’epoca). Va  inoltre ricordato che quelli erano anni di benessere economico, quindi non si può attribuire al finanziamento pubblico, in maniera molto fantasiosa, di aver creato la crisi economica o di esserne la causa.

La storia del finanziamento pubblico in Italia ha vissuto diverse fasi(1).

La nascita della Repubblica e la legalizzazione dei partiti politici lascia aperta la questione del loro finanziamento(sia di quello pubblico che di quello privato): nel periodo che va dal 1945 al 1974 non vi è alcuna regolamentazione.

A partire dal 1974 questo soggetto viene regolamentato da una legge, in cui

“[...] il finanziamento pubblico doveva rappresentare una fonte aggiuntiva di entrate rispetto agli atti di liberalità di privati e alle forme di auto finanziamento. Ma sopra ogni cosa doveva consentire un flusso regolare di denaro tale da allentare le tentazioni di finanziamenti illeciti e quindi di corruzione.”(2)

La legge infatti fu fatta in seguito allo scandalo dell’Unione Petrolifera del 1973, quando questa finanziò con tangenti i partiti di Governo per promuovere una politica contraria alle centrali nucleari e a favore di quelle termoelettriche: si sosteneva che, se vi fosse stato un finanziamento pubblico tale da poter far vivere i partiti, si sarebbe allentata la morsa della corruzione. Questa legge vinse contro un referendum, promosso dal Partito Radicale e da Democrazia Proletaria.

Nel 1993 c’è un secondo Referendum abrogativo, promosso ancora dal Partito Radicale, che, grazie agli scandali di Tangentopoli, riesce ad ottenere la maggioranza e quindi ad abrogare il finanziamento pubblico(3). Il Referendum abolì il finanziamento pubblico, ma non il rimborso per le spese elettorali; la legge seguente salvaguardò quindi questa fonte di finanziamento.

In seguito furono fatte diverse leggi per un’ulteriore regolamentazione di questo soggetto. La cosa notevole è che queste leggi seguono sempre gli anni elettorali (una nel 1997, anno successivo alle elezioni del 1996 e 2002, dopo le elezioni del 2001). La ragione è che la mancanza di elezioni porta a una riduzione forte delle entrate dei partiti per il mancato finanziamento pubblico, che è appunto legato esclusivamente al momento elettorale.


I Comunisti e il finanziamento pubblico

Il Partito Comunista Italiano è stato a lungo contrario al finanziamento pubblico ai partiti, perché era visto come una statizzazione dei partiti e vi si vedeva il rischio di intromissioni e controlli governativi sulla vita interna dei partiti. Non si mostra però contrario alla legge del 1974.

Il Pci evidenziava il ruolo svolto dai partiti nella democrazia(4) e quanto questa non possa esistere senza la loro presenza. Rigettava quindi l’attacco ai partiti (e alla forma partito in sé(5)), culturalmente di origine qualunquista, che viene portata avanti dai liberali e dai fascisti (6) (7). Il Pci aveva ben chiaro come ogni partito sia espressione di interessi economici e sociali, e trovava normale che questi finanziassero i partiti stessi (8). Un finanziamento pubblico ai partiti doveva servire a liberare i partiti dai condizionamenti dei grandi potentati economici (9) e doveva quindi permettere ai partiti di fare autonomamente le proprie scelte(10).

Il finanziamento pubblico doveva però essere aggiuntivo e non sostitutivo rispetto all’autofinanziamento dei partiti e doveva essere per il Pci un contributo indiretto: non quindi una somma di denaro, bensì facilitazioni ai partiti nello svolgere il ruolo democratico che gli viene attribuito dalla Costituzione. In sostanza il Pci chiedeva che in ogni comune fosse messa a disposizione una sala per le riunioni dei partiti, che questi fossero esentati dal costo delle affissioni, che fossero agevolati nelle spese postali e nell’acquisto di servizi telefonici, elettrici etc. In ogni caso, la fonte principale del partito sarebbe rimasta l’autofinanziamento da parte degli iscritti e dei simpatizzanti (11) (12). Come scriveva Cossutta

“Dei partiti politici si può dire tutto il male del mondo, ma una cosa vorrei non si dicesse: che sono tutti uguali. Ognuno di essi – nessuno escluso – soffre dei suoi propri mali, ma dovrebbe essere chiaro per tutti che i partiti e i loro dirigenti o militanti non rappresentano affatto una realtà indistinta o, addirittura, una “classe politica”, essendo, in realtà, ciascuno caratterizzato dai legami effettivi che ha con gli interessi delle classi e dei ceti diversi che rappresenta e orienta, dai suoi diversi modi di comprensione e di progettazione della realtà, da un diverso costume, che è frutto di determinati ideali e di una particolare concezione del mondo e della vita.[...] Al di fuori di questo sistema [dei partiti], nelle concrete condizioni in cui si svolge la nostra vita politica, non vedo che possa esserci democrazia in Italia, ma soltanto la fine di tutte le libertà. […] Il fatto che alcuni di essi – e non di peso minore nella vita politica italiana – vivano ufficialmente non si sa di cosa, concorre non poco a snaturarne la funzione e a deteriorarne, con la qualità e il costume, anche l’immagine pubblica.”(13)
 (continua)

RIFERIMENTI

Pizzimenti, Eugenio, and Piero Ignazi. "Finanziamento pubblico e mutamenti organizzativi nei partiti italiani." Rivista italiana di scienza politica 41.2 (2011): 199-236.

Cossutta, Armando. “Il Finanziamento pubblico dei partiti.” Editori Riuniti, Seconda edizione, 1978

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Note

(1) Si veda la suddivisione fatta da Pizzimenti e Ignazi

(2) Pizzimenti e Ignazi, p.203

(3) È da notare che spesso ci si scandalizza quando viene riproposto un referendum su un tema che ne è già stato oggetto in precedenza. In quel caso si dice che su quel tema il popolo italiano si è già pronunciato. Non è stato così per il referendum sul finanziamento pubblico ai partiti, che era stato sconfitto negli anni ‘70.

(4) “Quali sono tali compiti [dei partiti]? In primo luogo, quello di avere un rapporto diretto e profondo con i propri iscritti, perché questi siano chiamati realmente a determinare la vita politica della loro organizzazione. In secondo luogo, quello di stabilire un rapporto costante con i propri elettori e con tutta l’opinione pubblica, affinché la condotta del partito abbia una verifica continua e non soltanto limitata al momento di espressione del voto. In terzo luogo, quello di formare quadri dirigenti a tutti i livelli sempre più preparati ad assolvere i propri compiti, sempre più legati alle esigenze e all’interesse del paese” Cossutta, p. 97 

(5) “Si tratta di quella mentalità di tipo qualunquistico, secondo la quale i partiti politici e le loro attività sono cose da disprezzare o da tenere fuori della considerazione pubblica, come si fa per le “cose sporche”. […] su siffatta opinione arretrata […] pesano ancora i vent’anni del passato funesto regime […] e le concezioni che furono proprie in un momento particolare della situazione italiana postbellica di Guglielmo Giannini e del suo movimento appunto qualunquistico.” Cossutta, p. 19

(6) “Ma risanamento e rinnovamento della vita pubblica siginificano anche rifiuto categorico di ogni sollecitazione qualunquistica contro “la politica” e contro la cosiddetta (dai fascisti) “partitocrazia”, giacché, al di fuori del sistema dei partiti e della pluralità delle espressioni democratiche, in Italia esisterebbe solo un regime autoritario, reazionario.” Cossutta, p. 96-7

(7) “Va respinta con ogni forza la campagna qualunquista attraverso cui i fascisti tentano di porre sotto accusa il sistema democratico in quanto tale. I fascisti sono gli eredi del sistema più corrotto che la storia d’Italia  abbia mai avuto. Sotto il fascismo fu data mano libera ai gruppi capitalistici dominanti; […] una gigantesca redistribuzione della ricchezza nazionale venne operata a favore dei gruppi economici più potenti” Cossutta, p. 183-4

(8) “Circa i cosiddetti finanziamenti occulti, al di là di ogni moralismo, io sono francamente dell’opinione che – in toto – essi siano ineliminabili, in quanto, secondo il mio modo di vedere, i partiti sono, in forme più o meno dirette, espressione di determinati interessi.” Cossutta, p. 35

(9) “Tale condotta ha ridato credito a quel tipo di propaganda apertamente fascista secondo la quale la politica è “una cosa sporca”. Ecco perché il finanziamento pubblico dei partiti può essere elemento importante, anche se non taumaturgico, di risanamento democratico” Cossutta, p. 98

(10) “Ma il motivo fondamentale per cui siamo favorevoli alla legge sul finanziamento dei partiti resta un motivo di rafforzamento della democrazia. Vogliamo cioè che la dialettica democratica abbia la possibilità di liberarsi dai condizionamenti e dalle ombre che oggi gravano su di essa; che tutti i partiti possano essere più liberi di fare la loro politica, magari contro il Pci, ma la loro politica, non quella “per conto” di altri.” Cossutta, p. 100

(11) “Il movimento operaio italiano, sin dalla sua formazione in movimento politicamente organizzato, e quindi da oltre un secolo, ha dovuto provvedere con le sole sue forze e con i suoi sacrifici (e quali, infiniti sacrifici) a far fronte alle sue proprie esigenze. Ha sempre fatto da sé, affrontando e superando difficoltà enormi per costruirsi nella sua autonomia una capacità di azione politica” Cossutta , p. 21

(12) “Ciò è stato possibile perché abbiamo fatto leva su un partito che non è diviso – come altri – in correnti laceranti e che conta sull’impegno appassionato e sul lavoro volontario di centinaia di migliaia di lavoratori, su un partito che fa del rigore di vita uno dei capisaldi del suo costume politico e morale” Cossutta, p. 30

(13) Cossutta, p. 89-90

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