domenica 25 novembre 2012

Primarie:alcune considerazioni economiche


Oggi si svolgeranno le primarie del centro-sinistra. Questa competizione si propone di selezionare, tramite il voto popolare, il futuro presidente del consiglio. Sebbene rappresenti sotto molti punti di vista una forzatura costituzionale, queste competizioni prese a prestito dalla politica americana hanno riscosso in passato un forte successo di partecipazione. È bene quindi soffermarsi sulle proposte che sono state fatte dai candidati.


Avvertenze

A tal proposito è bene segnalare alcune avvertenze.

La prima riguarda la futura fedeltà alle proposte che oggi i candidati fanno. Questo non tanto per inseguire un sentimento anti-politico ora molto diffuso, secondo il quale i politici tenderebbero a cercare il massimo profitto come fanno i soggetti economici, perciò formulerebbero proposte e promesse per massimizzare i propri voti, salvo poi non mantenerle quando sono al potere1.  Penso sia più utile ritenere queste, come altre proposte, come un indicatore di tendenza, che segnala quali comportamenti avrebbe il candidato di fronte alle situazioni che si troverà ad affrontare: proprio perché la situazione cambia, sarebbe sciocco pensare a proposte che non mutano a prescindere dalla realtà attorno, solo in forza di una “promessa elettorale”. Quindi le varie proposizioni saranno valutate come indicatori delle attitudini di un candidato rispetto alla realtà che si trova attorno.

Inoltre verranno prese in considerazione solo le proposizioni che riguardano l’economia. Questo non per sminuire gli altri campi. La ragione attiene in primis all’oggetto di questo blog e alla situazione di crisi che attraversa l’economia europea, che mette in primo piano tra gli interessi degli elettori il tema dell’economia. Per questo cercherò di rendere chiare le differenze tra i tre candidati in modo che sia possibile decidere in maniera consapevole.

Infine mi concentrerò solo sui tre principali candidati (Bersani, Vendola e Renzi) e solamente su quello che hanno scritto sui loro programmi. Per quanto siano preparati gli altri due candidati, è evidente che la loro influenza sarà scarsa. Inoltre i programmi scritti sono stati pensati più approfonditamente di un’intervista di giornale o di un dibattito televisivo. Risultano quindi essere un base migliore di analisi.

Carta d’Intenti
Il primo testo su cui porre l’attenzione è la Carta d’Intenti. I punti che paiono essere maggiormente in evidenza sono quelli relativi all’Europa e al Lavoro.

Riguardo all’Europa si propone una riforma dell’Europa e dell’Euro tale da poter rispondere ai problemi che attraversa l’attraversano. La soluzione della crisi, anche per un paese come l’Italia (quindi un Piigs) passerebbe solo attraverso una riforma e un rafforzamento dell’Europa, che abbia come obiettivo quello di costituire gli Stati Uniti d’Europa: una democratizzazione delle istituzioni europee e un coordinamento delle politiche fiscali.

Per quanto riguarda il lavoro, si parla di un’alleanza dei produttori: in sostanza il lavoro e il capitale produttivo dovrebbero sostenere battaglie comuni contro la rendita, che verrebbe quindi indicata come la causa e al contempo la soluzione per un’uscita progressiva dalla crisi. Inoltre viene proposta una legge sulla rappresentanza, un argomento che è diventato di quotidiana attualità dopo le scelte prese da Marchionne alla Fiat e poi copiate da altre imprese

Bersani

Il programma proposto da Bersani risulta molto piccolo rispetto a quello degli altri candidati. Le ragioni possono essere diverse. Innanzitutto forse ci si rende conto dell’inutilità di fare proposte dettagliate, perché perderebbero validità nel tempo. Inoltre essendo il segretario, prende a base le proposte del Pd. Inoltre viene proposta un maggiore ruolo dei partiti, sottratti tanto al populismo qualunquista, quando a visioni liquide dello stesso. La riaffermazione dei partiti come luogo di discussione e azione implica che le decisioni sulle politiche che verranno implementate saranno fatte in maniera collettiva.

In generale si sottoscrive il patto dei produttori e si propone di colpire evasione e rendita attraverso l’imposizione fiscale. Si denuncia il processo di precarizzazione del lavoro e di smantellamento del sistema di formazione pubblico. E si propone, come mezzo per uscire dalla crisi, di puntare sull’aumento della produttività e di valorizzazione delle tipicità italiane. Infine si propone un nuovo ruolo per le Authorities (le istituzioni che vigilano su determinati aspetti sensibili dell’attività economica, come la concorrenza, l’energia, le assicurazioni etc) in modo che queste controllano che le imprese private perseguano fini pubblici.

L’impressione è che Bersani, al di là delle singole proposte, voglia proseguire nella direzione già percorsa dai governi di centro-sinistra: un capitalismo temperato, in cui convivono la concorrenza con il controllo pubblico non invasivo da parte dello stato, che si pone come regolatore del sistema e dei conflitti all’interno dello stesso.

Renzi

Il programma di Renzi appare come quello più dettagliato nelle proposizioni.

Innanzitutto non si può notare l’abbondante uso di termini inglesi, spesso anche quando esiste un equivalente italiano. L’impressione è che ci si indirizzi verso i giovani (parlando un linguaggio che risulta sconosciuto ai più anziani) e ai ceti dinamici (quindi escludendo tutti quelli che fanno lavori non creativi). Ma soprattutto sembra denotare un riferimento reverenziale verso la cultura angloamericana, in un momento in cui questa evidenzia una crisi di egemonia e un declino economico marcato.

Le proposte che Renzi avanza sono tante. Ne elenco alcune: la riduzione dei costi della politica e delle amministrazioni; la fine del finanziamento pubblico ai partiti; la vendita di patrimonio immobiliare pubblico e delle partecipazioni pubbliche per risanare le finanze pubbliche; una deregolamentazione delle leggi urbanistiche; una riduzione dei consumi della pubblica amministrazione e degli investimenti; i prestiti ad honorem per gli studenti; liberalizzazioni; l’ulteriore privatizzazione dello stato sociale, attraverso l’assegnazione di buoni che sarebbero poi spesi dai cittadini presso associazioni che fornirebbero i servizi alla persona; la flexicurity, che aumenterebbe i servizi per i lavoratori disoccupati senza ridurre la precarietà attuale; la vendita di tutte le reti Rai eccetto una; il sostegno alla riforma Fornero delle pensioni.

Seppur attraverso la mia succinta presentazione, appare il candidato che rompe con le politiche dei governi di centro-sinistra e che sostiene la linea imposta dal governo Monti. In sostanza, pur nella crisi che attraversiamo, l’idea di Renzi è quella di uscirne con un impianto fortemente liberista, andando oltre le riforme in questo senso applicate dal Pd in passato.

Vendola
Il programma di Vendola è come quello di Renzi, ma di segno opposto: mentre Renzi rompe il  centro-sinistra verso destra, Vendola cerca di farlo verso sinistra. Le proposte vanno verso un ripensamento degli aspetti socialmente più critici dei passati governi di centro-sinistra. Appare evidente l’influsso che la crisi ha avuto e il tentativo di proporre nuove idee tanto per uscirne quanto per formare differentemente la società che risulterà da questa crisi.

Anche in questo caso, come per Renzi, le proposte avanzate da Vendola sono numerose e possono qui essere solo accennate. Si propone una maggiore spesa in cultura; di salvaguarda la natura pubblica della Rai; si propone il tempo pieno per tutti e l’obbligo scolastico a 18 anni; un aumento dell’edilizia scolastica; un freno alla speculazione e al consumo di territorio; un aiuto all’agricoltura; la riduzione delle spese per la difesa; la Tobin Tax; la riduzione del cuneo fiscale tra costo del lavoro e salario; una modifica della contro-riforma Fornero delle pensioni; introdurre un reddito minimo garantito per tutti; fare infrastrutture di trasporto; regolare le aliquote Ires per aumentarle sui redditi oltre i 50’000 euro; fare un’imposta patrimoniale; mettere l’ICI sugli immobili della Chiesa.

Per quanto riguarda l’Europa, Vendola si propone di rinegoziare i Trattati dell’Unione Europea e in particolare rifiuta il Fiscal Compact imposto agli stati europei. Al contrario propone un New deal europeo, una Bce come prestatore di ultima istanza (contro la speculazione sui debiti pubblici) e gli Eurobond. Anche per Vendola l’obiettivo è quello di giungere agli Stati Uniti d’Europa.

Come detto la proposta di Vendola è quella di cercare un’uscita alta dalla crisi, con un compromesso maggiormente favorevole alle classi popolari, e in rottura rispetto tanto alle politiche del governo Monti, quanto a quelle dei governi di centro-sinistra. Inoltre si evidenzia l’idea di una radicale riforma dell’Europa in senso contrario al liberismo imposto fin dalla sua creazione(1).

Considerazioni finali

Ormai da diversi anni l’economista Riccardo Bellofiore distingue gli schieramenti politici in due categorie: i social-liberisti e i neo-liberisti.
“Nessuno veramente ‘liberista’ fino in fondo. I neo-liberisti amano il libero mercato contro il lavoro: smantellando quanto rimane delle difese per i lavoratori nel mercato e nel processo di lavoro; e tagliando quanto più si può nel welfare. Sono però indifferenti alle posizioni di monopolio e, all’occorrenza, ai disavanzi nel bilancio dello Stato[...]. I social-liberisti sono invece di cuore tenero, fautori in astratto di un welfare universalistico, e cantori di una flessibilità che non scivoli in precarietà. Epperò molto più liberisti dei neo-liberisti: a favore delle liberalizzazioni, incantati dal rigore del patto di stabilità e delle sue mutazioni. Entrambi gli indirizzi amano molto (ognuno a suo modo) le privatizzazioni e perfino hanno adorato (anche qui, ognuno a suo modo) la mano libera nei mercati finanziari, fino a che almeno la cosa non è stata troppo indecente.”(2)
L’arrivo di Monti ha rappresentato un elemento nuovo nel ciclico avvicendarsi di questi due schieramenti:

“Mi capitò allora di dire che i ‘liberisti’ li si trovava solo sulle colonne del Corriere della Sera. […] Il punto è che oggi l’editorialista principe del quotidiano milanese è al governo. [...] Come che sia, al governo è ora un ‘liberista’ vero, a tutto tondo. Senza né ‘neo’ né ‘social’ che inquinino la pulsione a far fare alla ‘concorrenza’, ovunque e più che si può, il benemerito lavoro ‘ottimizzante’ di stimolo all’efficienza e alla produttività che le sarebbe proprio.”
Se analizziamo i tre candidati alla luce di questa divisione si potrebbe azzardare la seguente classificazione.

Renzi appare il candidato dei liberisti puri, che quindi rappresenta la continuità con le politiche di austerità del governo Monti e dell’Europa della Merkel. Le cause della crisi sarebbero nelle “incrostazioni” sociali dell’Italia e dell’Europa: quindi per uscirne servirebbe un liberismo integrale, che smantelli le residue resistenze dei lavoratori per una flessibilità assoluta; che ponga fine allo stato sociale europeo attraverso una sua privatizzazione; che deregolamenti l’attività economica, sottraendo al potere pubblico anche la regolazione sui processi(3).
Bersani è invece in continuità con le politiche social-liberiste dei governi di centro-sinistra. In questo caso, sembra che la crisi non abbia generato eccessivi ripensamenti, se non per quanto riguarda il ruolo dei partiti: sembra essere passata l’idea che qualsiasi soluzione alla crisi necessiti dell’azione collettiva organizzata, non più di profeti politici seguiti da tifosi appartenenti a partiti leggeri o liquidi. Ma per il resto, sembra non riconoscere responsabilità per le politiche liberiste applicate dai governi di centro-sinistra.
Vendola è invece il candidato che si pone maggiormente il problema della via d’uscita da questa crisi e della rottura con le politiche degli ultimi 20 anni. Nel suo programma appaiono, seppur in maniera imperfetta e imprecisa, le proposte delle correnti più radicali dell’economia, quelle che avanzano oggi le critiche più efficaci contro i mainstream liberisti. In questo senso, Vendola cerca una via d’uscita anche dai recinti politici della seconda Repubblica.

Un tema problematico accomuna però tutti e tre i candidati:l’Europa. Appare a tutti e tre una visione dell’Europa positiva e il sogno degli Stati Uniti d’Europa come obiettivo. Quest’Europa necessiterebbe quindi solo di modifiche che ne permettessero un funzionamento migliore, a cui lavorerebbero i candidati in caso di vittoria elettorale.

Sembra qui riproporsi l’ambiguità su cui, a parere di Brancaccio, è caduta la sinistra greca(4), e su cui molti si sono interrogati(5). In sostanza, come è possibile riformare questa Europa, in una situazione politica di divisione (tra Europa del Nord e del Sud) e di una indisponibilità germanica a qualsiasi cambiamento che non li avvantaggi? Come avvenuto in Grecia, anche in questo caso, a causa di un europeismo acritico, mancherebbe un piano B e una vera arma di ricatto da porre sul tavolo delle trattative:

“[Syriza] alla richiesta di rinegoziare le condizioni del prestito estero ha affiancato l’annuncio di volere restare nell’euro. [...] Essa ha messo in evidenza l’incapacità dei vertici di Syriza di affrontare in modo esplicito le possibili conseguenze derivanti da un eventuale fallimento della richiesta di rinegoziazione del debito. Cosa avrebbe fatto Tsipras se la Germania e le autorità europee si fossero limitate a proporre delle revisioni marginali degli accordi e avessero rifiutato di avviare una profonda rinegoziazione del debito? Il leader di Syriza in questi giorni ha eluso il problema.[...] L’ambiguità tuttavia non costituisce un limite della sola Syriza. [...] Per non parlare delle sinistre europee, che sembrano in troppi casi pronte a immolare i rispettivi elettori sull’altare di una incondizionata fedeltà all’euro e al mercato unico e che dunque non riescono a far di meglio che diffondere generici appelli alla solidarietà europea. A quanto parte, insomma, siamo al cospetto di una ulteriore variante di quel “liberoscambismo di sinistra” che imperversa da oltre un trentennio tra gli eredi più o meno diretti del movimento operaio, e che abbiamo cercato di esaminare criticamente nel libro L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa.”
In sostanza, nelle posizioni di tutti e tre i candidati che rappresentano le varie anime della sinistra, non viene riconosciuta la natura di classe dell’attuale costruzione europea. Da qui derivano le proposte, a mio parere deboli, di una sua riforma favorevole alle classi popolari.

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Note

(1)Una teoria che quindi vede le promesse come un prezzo di vendita e il mantenimento come un costo: i politici tenderebbero a cercare di vendersi al prezzo più alto (grandi promesse), ma poi cercherebbero di minimizzare i costi (non mantenendole).

(2)Saraceno per esempio osserva cehe “ Per riassumere, neppure le istituzioni sono neutrali, e non è un caso che lo statuto della banca centrale risalga agli anni ‘70, dominati dal pensiero keynesiano, mentre il trattato di Maastricht rifletta la contro rivoluzione neoclassica degli anni ‘90.” http://keynesblog.com/2012/11/23/teorie-economiche-e-governi-tecnocratici/

(4) Come mostra bene Vladimiro Giacchè, la base su cui la Cina sta costruendo il proprio progresso economico e sociale è opposta:un forte ruolo dello stato all’interno del processo economico, attraverso la proprietà diretta dei maggiori snodi economici dell’economia e l’indirizzamento di questi e degli altri settori verso obiettivi socialmente desiderati. Si veda V.Giacché, Quattro errori sulla cina, http://www.marx21.it/internazionale/cina/8012-quattro-errori-sulla-cina.html

(6) “È stato già scritto (l'economista Brancaccio, tra gli altri), che anche la posizione di Syriza contiene in sé un elemento problematico e contraddittorio: a fronte di una manifesta indisponibilità della Germania e dell'Ue nel suo insieme - come stiamo verificando proprio in questi giorni - a concedere alla Grecia correzioni sostanziali al Memorandum, se non piccole ed insignificanti modifiche, quali margini esistono per la Grecia di sottrarsi ad una politica di massacro sociale, restando al tempo stesso legata alle compatibilità dell'Ue e dell'eurozona? Porre questo problema, su cui attira l'attenzione una parte della sinistra greca, comunista e non, significa mettere il dito nella piaga. Quale base realistica può avere oggi nell'Unione europea, così come essa è venuta storicamente evolvendo, una posizione che dice: respingiamo la linea UE ma non vogliamo uscire dall'euro e dall'Unione? Ci sono i margini politici ed economici per questa “terza via”? O viceversa l'alternativa secca che si pone ai comunisti e alle forze di sinistra è: o si capitola ai diktat dell'UE e dei suoi poteri forti o se, invece, si tiene duro sul no a questa linea si innesta una dinamica destinata in ultima analisi a portare un paese (oggi la Grecia, domani, forse, altri paesi in cui la crisi dovesse approfondirsi) fuori dall'euro e da una Ue che si configura sempre più intrecciata al sistema imperialista euro-atlantico?”  http://www.oltre-confine.it/index.php?option=com_content&view=article&id=303:dopo-il-voto-greco-e-francese-alcuni-spunti-di-riflessione&catid=34:news

2 commenti:

  1. troppo prolisso per resistere fino in fondo alla lettura di questa tua pagina, scritta bene, con garbo e conoscenza finanziaria.
    Vorrei farti notare (ma forse già tu l'hai scritto in così tante righe che io non ho ancora letto) che la vita non è fatta di soli soldi e che il reddito deve essere distribuito a tutti, non come carità, ma come onesto lavoro e impegno. Col tuo liberismo.... e definizioni simili dimentichi o non vuoi vedere che la forbice fra ricchi e poveri si allarga sempre di più. Se pensi come la Fornero che il sacrificio di pochi salvi la vita di molti, be' non sono d'accordo. Tutti siamo figli dello stesso Dio! www.fabbridanilo.it

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    1. L'idea originaria era infatti quella di dividere in due questo post, per renderlo più leggibile. putroppo ero troppo vicino alle primarie per poterlo pubblicare in due volte a distanza di giorni.

      La parte ancora valida è quella finale, dalle "considerazioni finali" in poi.

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